L’anno del covid è stato l’anno dello smarworking. Un’autentica rivoluzione soprattutto nel mondo dei servizi. Quanti di voi conoscevano le piattaforme di videoconferenza solo 11 mesi fa? Oggi ne parliamo come parliamo degli operatori telefonici (“come ti trovi con Meet?”).

Senz’altro lavorare da casa ha comportato per molti di noi e per le nostre organizzazioni degli enormi guadagni di produttività. Non sempre però e non per tutti. 

Sembrano delinearsi due partiti. Chi vorrebbe tornare quanto prima al lavoro tradizionale, gomito a gomito, in pieno contatto fisico con gli altri, e chi ha scoperto che si può vivere e lavorare benissimo sul divano di casa, senza traffico, senza turni in sala riunioni, senza fastidiosi convenevoli alla macchinetta del caffè.

Come sarà il lavoro quando sarà possibile rientrare in ufficio?

Tra pochi mesi quando probabilmente con i vaccini saremo riusciti a metterci alle spalle il Covid dovremo affrontare il nodo “ritorno alla fisicità” nel mondo del lavoro. Chi tornerà in ufficio? Con quali modalità? Cosa diranno i direttori del personale? E i sindacati?

E’ presumibile che il 2021 sarà un anno di grandi confronti e dibattiti. In particolare all’orizzonte si porranno tre temi di riflessione importanti:

Forse non ci saranno licenziamenti ma sicuramente ci saranno ristrutturazioni

1) Lo smartworking ha dimostrato in questi mesi quanto siano inutili alcune mansioni e alcuni ruoli. Tornati alla “normalità” è dunque prevedibile che prenda forma un anno di profonde ristrutturazioni. Il clima politico e sociale impedirà l’aprirsi di una stagione di licenziamenti, ma ugualmente le aziende dovranno ripensare la propria organizzazione. Molti saranno chiamati ad accettare profondi mutamenti dei propri compiti professionali. E’ presumibile che un anno di smartworking acceleri ulteriormente il processo di sostituzione tecnologica del lavoro. Prima dell’emergenza Covid tanto lavoro non era sostituito dalla tecnologia unicamente perchè clienti e utenti resistevano all’utilizzo della tecnologia. Oggi questi novantenni che hanno imparato durante il lockdown a smanettare sulle applicazioni digitali fanno pensare che tante “strutture fisiche” che servivano clienti “resistenti alla tecnologia” verranno ridimensionate. Chi ne faceva parte deve prepararsi a profonde revisioni delle proprie mansioni e responsabilità.

Dovremo isolare nelle nostre agende ciò che va fatto fisicamente insieme da ciò che possiamo gestire da remoto

2) Nel 2021 le organizzazioni saranno chiamate ad uno sforzo di classificazione delle singole componenti del lavoro e delle agende di tutti i dipendenti e collaboratori.

Il 2020 ci ha insegnato che il 99% di ciò che è condivisione si può fare in videocall, che la routine si gestisce molto bene. Invece il confronto creativo da remoto è più complicato. Per confronto creativo intendo tutte le attività che creano dal nulla relazione, apprendimento, soluzioni. 

Tutti noi dovremo riuscire a individuare nella nostra giornata di lavoro tipo ciò che è routine e ciò che è invece creazione e adattare di conseguenza le nostre agende quotidiane e settimanali. Sarà necessario analizzare le nostre interazioni con colleghi e/o clienti e separare ciò che è momento “creativo” (quando non ci si capisce, quando non si è d’accordo, quando bisogna trovare una soluzione e decidere in due) da ciò che è pura istruzione o semplice condivisione/aggiornamento. Il risultato di questo enorme sforzo di analisi e pianificazione sarà un beneficio in termini di produttività e benessere (si sta fisicamente insieme al collega o al cliente solo quando fa la differenza).

Tutto facile in linea teorica. In pratica questa ricerca dei momenti in cui il contatto “dal vivo” è necessario probabilmente diventerà un ulteriore fattore di stress per le organizzazioni e per i singoli, soprattutto perchè partiamo da un livello molto basso di autoconsapevolezza. Infatti per la maggior parte di noi è molto faticoso (ma non impossibile) segmentare il nostro lavoro in tante distinte microattività e capire per ciascuna microattività se e quanto sia determinante la presenza fisica. L’analisi poi è condizionata da percezioni soggettive, gusti e inclinazioni personali, per cui, per esempio, se sono molto estroverso e propenso alla vita relazionale tenderò a sopravvalutare l’importanza del contatto umano, anche in situazioni e microattività dove oggettivamente un assitente virtuale o una call da remoto sono perfettamente funzionali. 

Meno tempo insieme ma di maggiore qualità

3) La dimensione della socialità sul lavoro si ridimensionerà. Siamo tutti contenti del fatto che passeremo meno tempo in riunioni noiose e sovraffollate, e che avremo meno occasioni spiacevoli di confronto con il collega antipatico o il cliente arrabbiato. Resta da capire quanto quel tempo che abbiamo sempre percepito come inutile e fastidioso non sia in realtà comunque importante per la nostra crescita personale e professionale. Imparare a convivere con persone completamente diverse da noi per età, carattere, cultura, stile di vita, visione del mondo non è forse uno straordinario “esercizio di umanità” che ci rende tutti i giorni persone migliori?

Di questo argomento si è parlato molto nel dibattitto su scuola e didattica a distanza. Che scuola è una scuola di “privatisti della videoconferenza?” Lo stesso ragionamento si può fare mutatis mutandis per il mondo del lavoro. Pensiamo a chi ha cominciato a lavorare nel 2020, ai tanti che non hanno mai neanche potuto stringere la mano al collega con cui tuttavia scambiano decine di mail ogni giorno. Che impatto può avere nel lungo termine questo tipo di relazione “ultramediata” sulla loro personalità? Nessuno ha la risposta.  Scopriremo insieme che impatto avrà sulle nostre vite questo lavoro “blended”, un pò dal vivo, un pò a distanza. L’unica certezza è che un impatto ci sarà. Senz’altro dovremmo puntare sulla qualità, meno tempo con gli altri, ma di maggior qualità, meglio se disconnessi e lontani da qualsiasi tipo di schermo.