“Tanto in Italia per trovare il lavoro giusto ci vogliono solo conoscenze e raccomandazioni”. E’ una frase ricorrente che abbiamo sentito e forse pronunciato mille volte. E’ una frase che si accompagna solitamente ad un senso di frustrazione e di impotenza.

Assumere è sempre un azzardo

Per come si stanno mettendo le cose, per il nostro bene dobbiamo liberarci di questo pregiudizio. Proviamo per trenta secondi a metterlo in discussione e ad analizzare bene cosa significhi l’espressione “conoscenze e raccomandazioni”: nel mondo del lavoro quando si sceglie un dipendente, un collaboratore o un fornitore chi seleziona scommette su qualcun altro. Assumere un nuovo collega o scegliere un nuovo fornitore è sempre un rischio, un azzardo. Dall’esigenza di diminuire questo azzardo deriva l’importanza delle referenze e del contatto personale.

Sostanzialmente funziona così (in tutto il mondo): “ti assumo o ti scelgo come collaboratore/fornitore perché ti conosco nel privato e so o intuisco che sei una brava persona di cui mi posso fidare”. Oppure “ti assumo o ti scelgo come collaboratore/fornitore perché qualcuno di cui mi fido garantisce per te”.

Sono dei meccanismi di selezione vecchi come il mondo. Spesso vengono “criminalizzati” perché li associamo con altri meccanismi di selezione, che sono in effetti patologici (e fondamentalmente stupidi) e da condannare. Di cosa parliamo? “Ti assumo o ti scelgo come fornitore perché tu o persone che tu puoi influenzare in cambio mi darete qualcosa.” Oppure “ti assumo o ti scelgo come collaboratore/fornitore perché ….sei mio figlio”.

Bisogna distinguere il concetto di fiducia da quello di favoritismo o addirittura di corruzione

Tra il meccanismo naturale che si fonda sulla fiducia e quelli  patologici (il familismo o la “similcorruzione”) esiste una distinzione chiara. A volte  sottile, è vero, ma la distinzione resta.

Perché è importante aver presente questa distinzione? Perché ci aiuta a spazzar via i nostri alibi etici. Coltivare relazioni professionali non significa necessariamente tramare da incappucciati in qualche salotto lobbistico. Significa più semplicemente farsi conoscere. Proprio così: farsi conoscere. Non per lucrare chissà quale bieco tornaconto personale, ma perché in un mondo del lavoro “liquido”, fatto di porte girevoli e di rapporti “a tempo” farsi conoscere è importante per darsi più opportunità domani e dunque per essere più liberi oggi.

Una volta che ci saremo liberati delle preoccupazioni etiche saremo pronti a scoprire il motivo profondo per cui il concetto di “sviluppare relazioni professionali” (“networking”) indispettisce tante persone: “fare networking” significa infatti presentarsi agli altri, esporsi al giudizio degli altri e mettersi in discussione. E questo spesso, più o meno consapevolmente, ci spaventa. Ed è umano. E’ umano che scatti un meccanismo del tipo: “Siccome sotto sotto non mi sento ok, non mi sento adeguato, temo il giudizio degli altri, non ci provo neanche, tanto funziona solo per conoscenze e raccomandazioni….”

Curare efficacemente il proprio network fondamentale non è solo un abitudine, è anche una competenza

Dopo aver sgomberato il campo dagli alibi etici e dalle zavorre psicologiche finalmente potremo dedicarci a ciò che ci serve davvero: acquisire le competenze per curare bene le nostre relazioni sociali e professionali. Competenze che costituiscono un patrimonio fondamentale nel terzo millennio, in un contesto in cui le carriere sono frammentate e tutti noi saremo chiamati a cambiare lavoro sempre più spesso.