Perchè tutti continuiamo a percepire il colloquio di lavoro come un esame?

Ne ho parlato con Antonio De Pascali, HR manager in Montenegro, psicologo del lavoro e “innovatore seriale” del mondo delle risorse umane.

Antonio, siamo nell’epoca del digital mindset e del lavoro agile, ma il caro vecchio colloquio di lavoro resta il cuore dei processi di recruiting. Mi colpisce molto una tua convinzione sul colloquio di lavoro. Tu ritieni che il candidato debba conoscere prima del colloquio le domande che gli saranno poste. Perchè?

Il modello di colloquio che più frequentemente si incontra prevede la replica di un setting tipico di un modello educativo basata sul ruolo insegnante e alunno, che fa respirare una cultura giudicante, poco propensa alla valorizzazione del capitale umano.

Far conoscere le domande del colloquio ci aiuta a creare un clima di confronto più rilassato e trasparente

La nostra mente non è fatta per contenere informazioni infinite ma per produrre nuove idee e soluzioni. Quindi noi selezionatori dobbiamo ridurre le informazioni da indagare e concentrarci maggiormente su cosa ogni persona sia capace di fare con quello stesso numero finito di informazioni. Se ci pensi tutti noi dovremmo conoscere gli argomenti di una riunione prima di parteciparvi. Far conoscere le domande del colloquio ci aiuta a creare un clima di confronto più rilassato e trasparente. Il candidato viene messo nelle condizioni di comportarsi in modo più autentico. 

Non c’è il rischio che preparare le risposte dell’intervista tolga spontaneità al confronto con il candidato?

La spontaneità rimarrà sempre. Si possono preparare splendide risposte sulla carta ma “metterle in scena” nell’interazione lascia grandissimi spazi alla spontaneità. Nello scambio comunicativo umano 1+1 (selezionatore + candidato), il risultato è sempre come minimo 3.

Se le domande sono già pianificate dove starebbe il valore aggiunto del selezionatore?

Il valore aggiunto sta nel concentrarsi sulla persona, saper rileggere le dinamiche che si manifestano nel qui et ora. Mantenendo una struttura abbastanza fissa e replicabile di stimoli il selezionatore si può concentrare maggiormente sulle sfumature di comportamento che differenziano Antonio da Lorenzo.

Se il selezionatore improvvisa inconsapevolmente discrimina

Inoltre un approccio trasparente aiuta lo stesso selezionatore a ridurre i propri bias. Se io selezionatore mi devo attenere ad una scaletta che ho condiviso in anticipo con tutti i candidati, allora non accadrà come invece troppo spesso accade che a qualcuno vengano poste tre domande, ad altri sette, che per qualcuno siano domande più blande e per qualcun altro più insidiose. Una forma di discriminazione non voluta e inconsapevole ma che si viene purtroppo a creare quando è lasciato troppo spazio all’improvvisazione del selezionatore e di conseguenza alle emozioni e all’energia del momento. 

Antonio De Pascali, Global Talent Manager Gruppo Montenegro

Come evolveranno i processi di selezione nell’epoca dei big data, dei social e dell’intelligenza artificiale? Si può immaginare un futuro in cui il colloquio sarà reso superfluo perchè basterà tracciare i nostri dati per sapere tutto di noi?

Abbiamo tool che ci dicono che tratti di personalità hai sulla base dei contenuti che condividi sui social, test che valutano le soft skills tenendo anche conto del tuo grado di desiderabilità sociale manifestato (quanto stai mentendo), tecnologie che scompongono i tuoi movimenti facciali per capire quali sono le emozioni che sai gestire meglio. Per questi motivi il selezionatore avrà sempre più strumenti a disposizione che proveranno a sostituirlo. Se il colloquio si riduce ad una conversazione destrutturata, ad una verifica di informazioni, alla pura manifestazione di ego da parte del selezionatore allora noi HR manager saremo “sconfitti dai robot”.

E allora i selezionatori su cosa si dovranno concentrare?

Quello che farà la differenza sarà saper scegliere tra le tecnologie che ci possono aiutare nel pre-screening e saper elevare il colloquio ad un’esperienza “omnisensoriale” simile al nostro primo giorno di lavoro insieme, un’esperienza che possa far sentire e toccare con mano che tipo di persona veramente è il candidato e cosa possiamo diventare insieme. 

Il colloquio deve essere progettato come un’esperienza simile al primo giorno di lavoro insieme

Due consigli per chi deve sostenere un colloquio?

Il primo: prepararsi rigorosamente a raccontare la propria storia, ma soprattutto la propria identità professionale ( che spesso noi selezionatori non riusciamo a capire) e i propri progetti.

Il secondo: Non cercare di essere chi non si è. La propria autenticità emerge sempre ed è importante evitare di apparire troppo “costruiti” e di conseguenza, nella percezione del selezionatore, insicuri.

Grazie Antonio per questi spunti ma anche per aver collaborato alla produzione del nostro videocorso sul colloquio di lavoro “le faremo sapere”: Le faremo sapere! – Sparring Group (sparringroup.it) Ti sei prestato anche come attore. Nel videocorso è stato più difficile interpretare il selezionatore o il candidato?

Senz’altro il candidato, è vero che il colloquio non è un esame, ma si tratta sempre comunque di un ruolo travolto da grandi emozioni.