C’è chi vede i lavori manuali come lavori “di serie B” tout court, precari e mal pagati. C’è invece chi li vede come un’opportunità importante in un’epoca in cui non è facile trovare lavoro intellettuale di qualità. Se ne discute in tutte le famiglie: Perché iscriversi ad un istituto professionale invece che al liceo? Perché mettere da parte la laurea per fare il restauratore o il giardiniere?

La distinzione tra lavoro intellettuale e manuale non esiste più

Facciamo un po’ di ordine per rispondere a queste domande. Intanto la distinzione tradizionale tra lavoro intellettuale e lavoro manuale non esiste più.

Per secoli il mondo del lavoro ha vissuto una netta distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Il primo, superiore al secondo in termini di prestigio, potere, remunerazione, significava studiare, pensare, prendere decisioni. Il secondo significava rompersi la schiena ripetendo in modo alienante sempre gli stessi gesti.

Questa percezione è ancora radicata, soprattutto nelle generazioni meno giovani. La realtà è invece molto più complessa. C’è chi vede i lavori manuali come lavori “di serie B” tout court, precari e mal pagati. C’è invece chi li vede come un’opportunità importante in un’epoca in cui non è facile trovare lavoro intellettuale di qualità. Se ne discute in tutte le famiglie: Perché iscriversi ad un istituto professionale invece che al liceo? Perché mettere da parte la laurea per fare il restauratore o il giardiniere?

Ci sono lavori percepiti come “intellettuali” che sono, precari, malpagati e sostituibili dalla tecnologia (l’Italia è piena di superprofessionisti che hanno fior di titoli e poi nella quotidianità sono costretti a vivere di mansioni routinarie, compilative e di “copia-incolla”). Un elaboratore elettronico può tenere la contabilità di una srl o redigere un report giornalistico. D’altro canto ci sono tanti lavori manuali che nessun robot può imitare e che si sono guadagnati un riconoscimento economico, di prestigio e di status (lo chef fino a 10 anni fa era solo un cuoco). È il cosiddetto “Paradosso di Moravec”: nessuna intelligenza artificiale è in grado di impadronirsi di capacità umane primordiali. Provate a far curare un roseto da un robot…

A un ragazzo che sta valutando la possibilità di scegliere un indirizzo scolastico/formativo professionale o a un “meno giovane” che sta decidendo se accettare o meno un’offerta di lavoro manuale suggerisco di chiedersi: “Mi sto indirizzando verso un lavoro manuale “buono”? Il tema centrale infatti è distinguere tra lavoro manuale “buono” e lavoro manuale precario e mal pagato.

Il lavoro manuale è “buono” se…

  • Ingaggia la destrezza e la capacità di manipolazione.
    Parliamo di una manualità sofisticata, serva del cervello e dell’intuito. E’ la manualità di chi restaura un violino o estrae dalla stoffa abiti su misura, non certo quella di chi trasporta mobili sulle proprie spalle o passa della merce su un lettore ottico. Se non lo può fare una macchina o un robot, ma solo l’incredibile potenza della coordinazione mano-cervello allora parliamo di un lavoro manuale “buono”.
  • Ingaggia la creatività.
    Potare una siepe non ingaggia la creatività, creare la composizione floreale di un’aiuola ingaggia la creatività. Dove c’è spazio per “giocarsi” creatività, ingegno, visione, personalità, non solo c’è spazio per il nostro “tocco” insostituibile, ma c’è quel “valore aggiunto” che determina riconoscimento economico e intellettuale.
  • Ingaggia le capacità relazionali.
    Un orafo ha necessità di dialogare con il cliente e ascoltarlo, un confezionatore di panini al Mcdonald’s no. Il rapporto con il cliente ci mette nelle condizioni di esaltare le nostre soft skills (comunicazione, ascolto, problem solving, negoziazione) costruendo soluzioni personalizzate, costruendo valore per gli altri. E’ qui che si trova la radice profonda di un lavoro di qualità.