Sul lavoro produciamo valore aggiunto

In un recente articolo per il Sole 24 ho spiegato perchè non sempre avere un lavoro significa produrre valore aggiunto e perchè questa situazione mette a rischio la nostra posizione (clicca qui per leggere l’articolo completo).
http://www.sparringroup.it/news/sul-lavoro-produciamo-valore-aggiunto

Il valore aggiunto nel mondo del lavoro

“Nel mio attuale lavoro sono messo nelle condizioni di produrre valore aggiunto?” Il concetto di “valore aggiunto” applicato al mondo del lavoro si rivela subdolo e insidioso. Istintivamente infatti siamo portati a ritenere che produrre valore aggiunto significhi “essere utili alla causa”, “portare il proprio contributo”, creare qualcosa che sia di valore per qualcun altro. Purtroppo non è così.

Negli ultimi trent’anni abbiamo seguito in TV e sui giornali la storia di centinaia di crisi aziendali con lavoratori e manager che si affannavano a spiegare che “Ci vogliono chiudere, ma l’azienda è sana, è piena di ordini e fa utili. Che senso ha chiudere?” La cinica risposta che non può trovare spazio sui media è sempre la stessa e sempre disarmante nella sua semplicità: “Chiudiamo perché vogliamo investire in qualcos’altro/qualcun altro che renda di più.” E’ questa la definizione di valore aggiunto applicata al mondo del lavoro. Tu cameriere, tu contabile, tu amministratore delegato siete senz’altro bravissimi e produttivi, ma tecnicamente non producete valore aggiunto se io cliente/datore di lavoro posso in tempi brevi e con costi contenuti sostituirvi con qualcun altro (un altro lavoratore) o qualcos’altro (la tecnologia o una soluzione organizzativa) nel nome della produttività e dell’efficienza.

Saper fare la differenza

In questa prospettiva portare valore aggiunto significa per un lavoratore avere la possibilità di “fare la differenza” rispetto a tutte le altre soluzioni alternative a disposizione del cliente/datore di lavoro. Quindi nel momento in cui meditiamo di cambiare e soppesiamo pregi e difetti del nostro attuale lavoro chiediamoci se il nostro ruolo/funzione ci permettono di “fare la differenza”. Dobbiamo porci la domanda in modo spietato perché abbiamo la naturale tendenza a sopravvalutare il nostro contributo. Il nostro lavoro ci offre degli indicatori oggettivi che dimostrino a capi/datori di lavoro/clienti che siamo in grado di “fare la differenza” rispetto a tutte le possibili alternative? Il mercato infatti osserva sempre più rigorosamente la seguente regola: “Se puoi essere sostituito lo sarai”.

E’ una amara dinamica economica che in Italia anche il mondo del diritto sembra aver recepito. La Cassazione con la sua sentenza del 7 dicembre 2016 ha sancito per la prima volta la possibilità di licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo anche per ragioni legate alla migliore redditività ed efficienza dell’azienda. La notizia è finita sui giornali ma è stata probabilmente sottovalutata. Si tratta infatti di una sentenza rivoluzionaria. Perché? Perché fino al 7 dicembre solo una situazione fortemente negativa in termini di contrazione del fatturato e/o crisi aziendale poteva giustificare un licenziamento. La Cassazione in sostanza ha detto: “Caro imprenditore, se dimostri di poter essere più efficiente rimuovendo una funzione aziendale puoi farlo, anche se l’azienda non sta affrontando una crisi o un crollo del fatturato”.

Rendi difficile la tua sostituzione ampliando le tue competenze e specializzandoti

Il mercato del lavoro sembra prendere le sembianze di un animale selvatico e aggressivo. Tutti i giorni c’è qualcuno che ci guarda in ufficio, in cantiere, nel reparto e si chiede “posso fare a meno di lui?”. Chiediamoci spassionatamente cosa succederebbe ai nostri capi/colleghi/clienti se fossimo costretti ad assentarci per un periodo di un anno. In quanto tempo la nostra organizzazione risolverebbe il problema? Con quale danno? Ecco la dura verità sul nostro attuale lavoro. Una verità che non giudica le nostre competenze (anzi ci chiama ad ampliarle per renderle più uniche e meno sostituibili), ma solo la nostra collocazione contingente. Una verità che non parla solo alle mansioni meno qualificate, ma anche ai ruoli apicali. E’ ovvio che un operatore di call center non produce valore aggiunto. Ma anche un direttore finanziario collocato in un contesto in cui non può esprimere il suo tocco “speciale”, il suo mix speciale di competenze, esperienze, relazioni, non produce valore aggiunto.